domenica 13 settembre 2015

INIZIA LA SCUOLA!



Settembre è ormai arrivato da un po’…e domani la maggior parte delle scuole riapriranno!
Un appuntamento importante per molti, soprattutto per i nuovi piccoli studenti della scuola primaria che si troveranno ad affrontare una nuova grande avventura.

COME VIVE UN BAMBINO L'INGRESSO ALLA SCUOLA PRIMARIA?
Sicuramente questo nuovo inizio coincide con un processo di crescita in cui il bambino si trova a dover compiere uno sforzo di adattamento alla nuova realtà. Interessante come la Dott.ssa Gentile di Roma definisce questo ingresso del bambino “un po’ come uscire di casa, da solo, col proprio bagaglio costruito nei precedenti cinque anni e avventurarsi in un mondo nuovo, verso la crescita e quindi verso la vita, con le sue sfide e i suoi rischi”.
In generale un bambino di 5-6 anni è pronto ad affrontare questi cambiamenti in quanto dovrebbe aver raggiunto un certo grado di autonomia personale, ha maturato nel tempo consapevolezza di se stesso e degli altri e ha iniziato a trovare piacere nell’apprendere e conoscere nuovi contenuti della realtà.
Di solito i primi giorni vengono vissuti con serenità nonostante ci sia il grande sforzo di adattarsi alle nuove regole. Ogni bambino, in ogni caso, avrà i suoi ritmi e quindi è giusto seguirli dando lui il tempo di affrontare tutte le novità. 

I GENITORI COSA POSSONO FARE?
Molto importante è anche il punto di vista dei genitori in quanto saranno loro a veicolare molte impressioni sulla scuola. Quindi è fondamentale non solo chiedersi come vivono questo ingresso i bambini, ma come lo vivono anche gli adulti. Se i genitori sapranno vivere con serenità questo nuovo inizio, di riflesso anche i bambini si sentiranno più tranquilli e positivi verso la nuova realtà. Se invece l’ingresso alla scuola viene visto come un’occasione per capire quanto è “bravo” il proprio figlio, sarà più facile sviluppare nel piccolo ansia da prestazione o una vera e propria paura della scuola.
È importante, quindi, che questa avventura venga vissuta giorno per giorno insieme, condividendo paura e timori, spiegando bene ai proprio figli come saranno le cose in modo che loro possano prepararsi per un ambiente ai loro occhi il più possibile sicuro e prevedibile. Preparare il materiale insieme, scambiarsi racconti sulla vita scolastica attuale (dei propri figli) e passata (dei genitori), guardare insieme i quaderni e i lavori al fine di gratificare la loro fatica e il loro impegno sono tutti comportamenti che aiutano il bambino ad adattarsi e gli insegnano a comprendere quanto la scuola sia importante. 

I DOCENTI COSA POSSONO FARE?
Anche i docenti sono ovviamente un fondamentale ingrediente al fine di rendere questo percorso di vita il più sereno possibile. I primi giorni sono quelli della conoscenza sia dei nuovi compagni e delle insegnanti, dell’ambiente e dei suoi ritmi molto diversi da quelli della scuola dell’infanzia. È importante che si possa parlare, anche a scuola, di come viene vissuto emotivamente questo nuovo percorso in modo che anche i bambini possano comprendere che anche con le nuove insegnanti si può parlare di come si sta, di come si vive questa avventura, delle paure e
delle cose che entusiasmano. Anche i primi apprendimenti dovrebbero essere anche a scuola scarichi completamente dalla prestazione, ma carichi invece della voglia di imparare consapevoli della fatica e del fatto che giorno dopo giorno si riuscirà a fare meglio.

Beh…il 14 settembre è alle porte…quindi manca solo…un grande in bocca al lupo!

Dott.ssa Prada Laura

lunedì 16 febbraio 2015

LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO NEI BAMBINI

I bambini hanno una predisposizione fisiologica ad apprendere il linguaggio, un processo molto complesso che si verifica nel corso dei primi tre anni di vita. Fin dalla nascita, infatti, sono dotati di sistemi percettivi specifici rivolti all’apprendimento linguistico.
Non si può parlare di linguaggio senza inserirlo all’interno di una capacità più ampia, ovvero la capacità comunicativa; allo stesso tempo, è importante considerare la specificità del linguaggio, cioè le particolari proprietà che rendono il linguaggio unico e diverso da altri sistemi comunicativi. Queste proprietà sono essenzialmente due: la creatività e l’arbitrarietà. La creatività fa sì che la conoscenza di una lingua dia la possibilità di produrre un numero potenzialmente infinito di messaggi a partire da un numero finito di unità-base di quella lingua (fonemi e parole). Con il termine arbitrarietà ci si riferisce al fatto che, all’interno del linguaggio, la relazione fra suoni e significati è pre-stabilita; il significato viene appreso e trasmesso culturalmente di generazione in generazione.

Lo sviluppo della comunicazione e del linguaggio avviene attraverso una serie di fasi che si succedono una all’altra per tutti i bambini ma che sono soggettive per ognuno, per ciò che riguarda tempi, modi e strategie utilizzate.

I primi due mesi di vita

I primi suoni che il neonato produce sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini, ecc.), o associati al pianto. Il bebè piange quando ha fame, sete, freddo, sonno, perché vuole cambiare posizione o per qualsiasi disagio fisico. Fin dalla nascita, il pianto del lattante sollecita la tempestiva risposta istintuale dei genitori ai suoi bisogni e diviene la principale e più efficace forma di linguaggio. E’ difficile sottrarsi al pianto di un neonato e questo è legato al bisogno di sopravvivenza dell’uomo e dei cuccioli di ogni specie animale.
Nella primissima fase i meccanismi vocali del lattante non sono ancora sviluppati per produrre veri e propri suoni linguistici. Dalla nascita a 6 settimane le vocalizzazioni del bebè sono effetto di riflessi innati che appartengono al bagaglio genetico della specie: lamenti di dolore o disgusto, gridolini di gioia, sospiri, starnuti e suoni gutturali diversi. Verso i 2 mesi di vita si hanno le prime produzioni di suoni più simili al linguaggio, definite cooing (tubare), formate da vocali ripetute. Vengono prodotte dal neonato quando è contento e consentono l’esercizio dell’apparato vocale.

Tra i 2 e i 6 mesi

Dal punto di vista fonologico, tra i 2 e i 6 mesi avviene l’evoluzione relativa alle vocalizzazioni non di pianto, in cui compaiono e si stabilizzano i suoni vocalici. Verso i 3 mesi inizia la fase del balbettio, costituita da vocali semplici o unite a consonanti (ma-na-da-go). In questo periodo le vocalizzazioni diventano protoconversazioni: il bambino sembra rispondere all’adulto che gli parla, rispettando veri e propri “turni di conversazione”.

A sei mesi ha inizio l’imitazione di alcuni semplici suoni pronunciati dall’adulto, ma che fanno parte del repertorio del bambino. Il piccolo è in grado di controllare volontariamente alcuni suoni consonantici ed è alle prese con una forma caratteristica di linguaggio infantile: la lallazione (o babbling canonico), che consiste nella ripetizione dello stesso suono più volte (ma-ma-ma-ma; ta-ta-ta-ta). Il fenomeno della lallazione diventa sempre più complesso e variato, con l’emissione di brevi composizioni bisillabiche che tanti genitori scambiano per protoparole, ma non si può ancora parlare di linguaggio verbale.

Tra i 9 e i 13 mesi

Durante il primo anno di vita prendono forma i prerequisiti dell’apprendimento del linguaggio: intenzionalità e reciprocità e, nello sviluppo tipico, le prime parole compaiono tra i 9 e i 13 mesi. Esse sono prevalentemente legate al contesto di riferimento o connesse con le attività in corso. I bambini tendono inizialmente ad utilizzare le parole per indicare persone a loro vicine (mamma, papà, nonni, fratelli/sorelle), oggetti del quotidiano (cibo, giocattoli, vestiti) o azioni che compiono abitualmente (dormire, salutare, vestirsi, leggere, andare a dormire, negare, affermare). A 1 anno si assiste al fenomeno dell’olofrase: con una sola parola il bambino esprime una frase più complessa, un vero e proprio “concentrato di significati”. Ad esempio dice “nanna” per esprimere “voglio andare nel mio lettino a fare la nanna”.

E’ stato notato che le prime parole relative ad oggetti si riferiscono a cose piccole, accessibili e manipolabili (ad esempio le scarpe e le calze) o a cose che si muovono (ad esempio le automobili). Questo perchè tali oggetti colpiscono maggiormente l’attenzione del bambino e sono più facilmente memorizzabili.

Alla fine del primo anno i bambini manifestano l’intenzione comunicativa attraverso il gesto e la voce (richiesta e denominazione). La richiesta è ritualizzata (gesto ritmato della mano di apertura e chiusura) e accompagnata da vocalizzi. La denominazione è espressa attraverso l’indicare e il mostrare ed è accompagnata da vocalizzi, prima, e dalle parole, poi. Questi gesti comunicativi sono definiti intenzionali deittici.

Tra i 15 e i 20 mesi

Dai 15 ai 18 mesi, con l’espansione del vocabolario, l’interazione con gli adulti e, soprattutto, con lo sviluppo della consapevolezza di sé (“autocoscienza”), aumenta anche la capacità di comporre frasi sempre più complesse e articolate. A 16 mesi il vocabolario medio di un bimbo italiano si compone di 50 frasi circa. Il piccolo capisce molte più parole di quante ne sappia usare. Chiacchiera continuamente sia quando è da solo, sia quando è con i familiari usando un linguaggio di suoni e sillabe ben modulati, che simula quello degli adulti ma che non ha alcun significato. In questo periodo il bambino, vedendo la sua figura riflessa dinanzi ad uno specchio, si riconosce in questa.

A 18 mesi compaiono, in successione, diversi meccanismi morfosintattici e si assiste ad un’esplosione del vocabolario. I bambini incrementano il numero di parole prodotte, imparano più termini in breve tempo e, a 20 mesi, il numero di vocaboli a disposizione è triplicato.

Tra i 2 e i 3 anni

Intorno ai 2 anni il bambino è in grado di formulare frasi che hanno 2 o 3 parole.

Se l’apprendimento dei suoni avviene per imitazione, quello dei significati avviene per associazione e rinforzo. Se, per esempio, la madre pronuncia una determinata parola ogni volta che porge o indica al bambino un certo oggetto, il piccolo, dopo alcune volte, impara che a quell’oggetto è associata quella particolare parola.

Tra i 2 e i 3 anni lo sviluppo grammaticale ha una rapida accelerazione, che porta all’acquisizione dei meccanismi morfosintattici salienti della propria lingua madre. La lunghezza media delle frasi è in continua espansione; compaiono le prime proposizioni dichiarative ed è presente l’accordo soggetto-verbo.

Tra i tre e i quattro anni i bambini raggiungono l’apprendimento delle strutture di base di tutte le frasi di una lingua.

E’ bene ricordare che esistono rilevanti differenze da bambino a bambino che possono essere dovute a cause diverse: genetiche, sessuali (le femmine, in genere, parlano prima dei maschi), ambientali (i bimbi allevati in istituti, o da persone che interagiscono poco verbalmente, possono presentare un ritardo nell’acquisizione del linguaggio).

Suggerimenti ai genitori

L’apprendimento del linguaggio dipende dallo sviluppo dell’apparato fonetico associato al continuo esercizio e all’incoraggiamento dell’adulto. Il bambino diviene più rapidamente padrone del codice comune di comunicazione attraverso l’interazione con il genitore che gli parla. E’ quindi importante:
  • Raccontargli fiabe e storie, rendendolo attivamente partecipe del racconto.
  • Insegnargli nuove parole e fargli notare le differenze fra gli oggetti.
  • Non anticipare i suoi discorsi e non pronunciare le parole al suo posto, ma ascoltare e rispettare i suoi tempi e turni di parola.
  • Non semplificare il linguaggio, utilizzando il “bambinese”, ovvero storpiando parole come “cane” in “bau”, o “gatto” in “miao”. È preferibile scegliere parole semplici e di facile comprensione e parlare con calma. Questo non significa impoverire il linguaggio, ma offrire al bimbo l’occasione di imparare con le capacità che ha a disposizione in quella fase dello sviluppo.
  • Evitare di sgridarlo o trasmettere le proprie ansie se fa fatica a parlare: spesso si tratta di problemi temporanei che si risolvono con la crescita.
  • Tenere a mente che ogni bambino è unico, perciò ha i suoi ritmi e i suoi tempi nell’acquisire tutte le capacità.
  • Parlare al bimbo fin dalla nascita con un linguaggio chiaro e adulto, senza pensare che non sia ancora in grado di capire.
  • Chiamarlo con il proprio nome. In questo modo gli si attribuisce una identità relazionale in un processo di sviluppo.
FONTE: http://www.ilraggioverde.org/lo-sviluppo-del-linguaggio-da-0-a-3-anni/

giovedì 12 febbraio 2015

I LITIGI TRA I BAMBINI

Le caratteristiche dei litigi infantili

Per i bambini il litigio rappresenta un evento fisiologico nell’ambito dei rapporti interpersonali. Minori e adulti, sovente, danno dei significati differenti alle dispute. Talvolta i genitori e gli insegnanti attribuiscono dei contenuti impropri alle controversie dei propri figli e alunni. Per i bambini il litigio è un fatto naturale, quasi un’attività ludica endemica alle dinamiche relazionali. Inoltre, i conflitti, secondo la Nigris (2002, pag.34), “risultano una condizione per lo sviluppo armonico del soggetto”.
I contrasti fra i piccoli, come Novara fa notare (2014, pag. 54), sono caratterizzati da due archetipi, ovvero la notevole frequenza temporale e il localizzarsi nell’ambito di processi amicali. La Garvey, citata in Novara (2014, op. cit., pag. 54), afferma che in una scuola dell’infanzia, per esempio, i bambini litigano con una media di 11- 12 alterchi all’ora. Queste dispute hanno una breve durata: infatti, nel giro di qualche minuto gli infanti ritornano a giocare insieme, come se nulla fosse accaduto.

L’autoregolamentazione dei bambini

I motivi alla base delle contese infantili sono molteplici. Solitamente i bambini litigano perché vogliono possedere una cosa che l’altro ha o perché desiderano giocare con gli stessi giocattoli o, ancora, perché aspirano a ricoprire lo stesso ruolo all’interno di un gioco di gruppo o la stessa funzione nell’ambito della vita quotidiana della classe o, semplicemente, perché hanno opinioni contrastanti sulle stesse tematiche (Carugati e Selleri, 1996, pag. 136 – 142; Berti e Bombi, 2005, pag. 309 – 310; Carugati e Selleri, 2005, pag. 207 – 212).
I piccoli solitamente, come Novara sostiene (2014, op. cit., pag. 56), hanno delle notevoli capacità di autoregolamentazione. Frequentemente i loro litigi non trascendono in episodi di violenza, come molti adulti temono, ma si risolvono in maniera naturale senza lasciare traccia di risentimento.
Esistono delle tecniche che consentono ai bambini di migliorare la naturale capacità di risoluzione dei conflitti. Alcune di esse non prevedono la partecipazione degli adulti di riferimento (genitori e insegnanti).
Novara (2014, op. cit., pag. 56), per esempio, propone una strategia di risoluzione di conflitti, che sfrutta le capacità maieutiche dei minori. Qualche volta, però, accade che i bambini trasmodano nei loro litigi perché hanno come punto di riferimento il giudizio degli adulti, ovvero è come se volessero conquistare l’approvazione di un adulto importante che hanno interiorizzato, per cui percepiscono la disputa nell’ambito della dinamica bontà-cattiveria. È un modo per attribuire all’altro l’inizio del litigio, e quindi il ruolo di “cattivo”, e a se stessi la funzione di vittima, ossia di personaggio buono.

L’intervento inopportuno degli adulti

Novara (2014, op. cit., pag 57) sostiene che l’intervento dell’adulto nell’ambito dei litigi fra bambini è inopportuno, in quanto cerca di imporre una soluzione che spesso è distante da quella che i minori naturalmente trovano.
L’adulto, inoltre, interviene interrompendo il contrasto. Questo non consente ai piccoli di portare la disputa a termine con la finalità di trovare una mediazione, attraverso l’esercizio delle abilità comunicazionali.
In alcune circostanze sono gli stessi bambini che chiamano in causa l’adulto, con la funzione di arbitro, per stabilire chi ha ragione. L’adulto, in questo caso, non deve arrogarsi il compito di decidere chi ha ragione, ma semplicemente evidenziare quanto c’è di valido e congruente nelle ragioni dell’uno e dell’altro. Di frequente chi cede in un litigio è quello che emotivamente è più forte, ovvero riconosce che lo stare bene con l’altro è più importante, per esempio, del possesso di un oggetto.

Efficacia del metodo maieutico di risoluzione dei conflitti

La ricerca svolta da Novara e Di Chio in alcune scuole dell’infanzia e primarie della provincia di Torino (2014, op. cit., pag. 54) ha reso evidente che il metodo maieutico di risoluzione dei conflitti, che abitua i bambini a risolvere da sé i propri litigi, fa decrescere la loro frequenza. Inoltre il permettere che i bambini gestiscano da soli i propri contrasti, li aiuta a sviluppare tre paradigmi:
quello di implementare il principio di realtà, cioè l’adattare i propri desideri e bisogni al contesto esterno;
quello del decentramento emotivo e cognitivo, per cui si agevola la consapevolezza che esistono le emozioni vissute dagli altri e punti di vista cognitivi differenti dal proprio;
quello del pensare in modo creativo – divergente. In altre parole, il bambino si abitua a pensare a soluzioni, frutto del pensiero creativo – divergente, che possono accontentare entrambi i contendenti.

Contesti scolastici, conflitti e mediazione

Nei contesti scolastici, l’insegnante è chiamato esplicitamente in causa per risolvere una disputa, divenuta violenta, fra due alunni. In questo caso il compito del docente è quello di aiutare gli allievi a reperire una forma di obiettività che consenta di dirimere pacificamente il conflitto. Nello specifico, il docente deve invitare i due membri ad esprimere le emozioni provate in quel momento e le ragioni alla base dei loro comportamenti. Successivamente deve sollecitare i due minori a mettersi uno nei panni dell’altro, con l’intento di esporre le emozioni provate dall’altro e le sue ragioni. In ultimo, attraverso una strategia di problem solving, è opportuno impegnare l’uno e l’altro in una ricerca volta a trovare più soluzioni al contrasto, con il proposito di escogitare quella giusta, ovvero quella che soddisfa ambedue, permettendo la riconciliazione (Carugati e Selleri, 2005, pag. 74 – 75).
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/02/bambini-psicopedagogia-mediazione/


FONTE: http://www.stateofmind.it/2015/02/bambini-psicopedagogia-mediazione/