venerdì 17 ottobre 2014

NON POSSO VIVERE SENZA CELLULARE!!

Un telefono cellulare è per sempre. La prova del nove? Anche l'ozio in spiaggia può diventare una prolungamento dell'ufficio o della vita sociale, con eccessi preoccupanti che possono trasformarsi in malattia. Nomofobia: il nome già c'è, anche se non bisogna farsi tradire dagli studi classici. La nomofobia non è la “paura delle regole”, ma una parola “portmanteau” che contiene il gioco di parole aglosassone “no-mobile” più il termine greco fobia. In altre parole, una paura di nuova generazione: quella di non avere il cellulare a portata di mano, di non poter chiamare e ricevere telefonate, di non essere liberi di wazzappare o compulsare nervosamente il video dello smartphone alla ricerca degli ultimi aggiornamenti dagli amici o dal mondo dei social network. Una condizione che due studiosi italiani, Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente dell'Università di Genova, descrivono come caratterizzata da “ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un un telefono cellulare o un computer”.

Emozioni negative sproporzionate rispetto alla reale situazione di pericolo personale, ma che per questo diventano patologiche al punto che Bragazzi e Del Puente hanno pubblicato un documento sulla rivista Psychology Research and Behavior nel quale, in vista delle integrazioni al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali (DSM-V) - la “bibbia” a cui si attengono psichiatri e psicologi di tutto il mondo per diagnosticare e trattare le patologie del comportamento – raccomandano l'introduzione della “nomophobia” nel novero delle nuove paure.

Nel paper, Bragazzi e Del Puente descrivono questa fobia a due facce: da una parte può essere utilizzata come “un guscio protettivo o uno scudo” in modo impulsivo, dall'altro “come mezzo per evitare la comunicazione sociale”. Si tratta di un paradosso che interessa le nuove tecnologie della comunicazione già noto alla psichiatria. Ma come si riconosce un malato di nomofobia? Ecco alcuni comportamenti sono a rischio:

- Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso, avere uno o più dispositivi, portare sempre un caricabatterie con se stessi;
- Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c'è mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto possibile, i luoghi e le situazioni in cui è vietato l'uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e aeroporti).
- Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati riceuti messaggi o chiamate. Si tratta di un disturbo che è stato definito "ringxiety", mettendo insieme la parola “squillo” in inglese e la parola ansia.
- Mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno); dormire con cellulare o tablet a letto.
I ricercatori, che raccomandano di evitare di considerare tutti i comportamenti patologici (pochi si salverebbero dalla diagnosi), citano uno studio relativo a un uomo brasiliano che per 15 anni ha tenuto il suo cellulare sempre con lui schiacciato dal terrore di non essere in grado di chiamare i servizi di emergenza o le persone care nel caso si fosse sentito male. "È innegabile - commentano i ricercatori - che la tecnologia attraverso i social media, I social network, l'informatica sociale e i "social software" ci permette di svolgere il nostro lavoro più velocemente e con efficienza, ed è anche vero che interventi grazie al telefono sono un aiuto medico utile. D'altra parte, i dispositivi mobili possono avere un impatto pericoloso per la salute umana".


FONTE:http://salute24.ilsole24ore.com/articles/16942-nomofobia-la-paura-e-sentirsi-disconnessi?refresh_ce

giovedì 10 aprile 2014

QUANDO UN ADOLESCENTE SI RIBELLA!

Se tuo figlio adolescente si ribella niente paura: vuol dire che riconosce la tua importanza e si deve opporre a te per crescere

Mio figlio si ribella e mi risponde male: cosa devo fare?
A volte i genitori si domandano: «Che cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo? Eppure ce l'abbiamo messa tutta per non fargli mancare nulla». Dubbi legittimi ma su una cosa possiamo essere sicuri: gli atteggiamenti ribelli e aggressivi non dipendono da noi, anche se in noi trovano un facile bersaglio. La ribellione è infatti una spinta vitale del tutto naturale: perché un ragazzo possa diventare uomo deve affrancarsi da mamma e papà. Ma per farlo ha bisogno di smitizzare, in modo anche ruvido, le figure genitoriali, mettendo in discussione i loro valori di riferimento, il loro modo di pensare, per poi magari recuperarli in seguito. E tanto più mamma e papà sono stati adorati dal bambino quando era piccolo, tanto più forte sarà ora lo strappo da loro.

Tuo figlio reclama più libertà?
«Tredici anni è un'età difficile», spiega Marilena Zanardi, psicologa. «Da una parte i primi segnali fisici dell'imminente maturazione sessuale producono nei ragazzi la convinzione di essere "troppo grandi" per sottostare ancora a vecchie regole. Dall'altra i genitori continuano a vedere "il piccolo" di casa. Presto o tardi il figlio si ribellerà, mettendo in atto tattiche di "guerriglia familiare" per obbligare i genitori a riconoscere la sua nuova realtà. Allora è inutile arroccarsi in un autoritarismo sterile, che rischia solo di inasprire lo scontro: l'umiliazione di essere "ricacciato nell'infanzia" scaverebbe un solco difficile da ricomporre fra i genitori e il ragazzo. Ma anche un eccesso di indulgenza produce danni: cedere o far finta di nulla è altrettanto umiliante perché equivale a ignorarlo. La soluzione è entrare nel suo gioco dandogli progressivamente autonomia e pretendendo al contempo che ne assuma fino in fondo le conseguenze».

Cosa fare se tuo figlio non sente ragioni? Ecco le mosse vincenti
"Se non mi lasci uscire, scappo di casa". Rispetto degli orari, voglia di indipendenza, libertà nella scelta di un proprio stile di vita: è questo il principale terreno di scontro fra genitori e figli. Ma che fare quando lui mostra una ribellione ostinata?

Rispettarlo
Il rapporto fra genitori e figli dovrebbe basarsi sul rispetto reciproco. Ai figli, fin dalla più tenera età, va riconosciuta una propria personalità, un proprio modo di essere e di stare al mondo, che può essere anche molto diverso dal nostro. Se dimostreremo di accettarlo così com'è, anche nei modi che non ci piacciono, lui ci rispetterà di più. Il diario, i cassetti, gli sms di nostro figlio, insomma tutto ciò che custodisce la sua vita intima, va trattato con discrezione, mantenendo un atteggiamento aperto e il più possibile  fiducioso.

Negoziare 
Un atteggiamento autoritario non paga: dicendo solo NO rischiamo di allontanarlo ancora di più, alimentando la ribellione occulta (un male ancora peggiore). Anche troppo permissivismo può fare danni: acconsentendo lo priviamo di una guida sicura e lo lasciamo in balìa di se stesso e di cattive influenze. Non resta che tentare la via del compromesso, valida per entrambi. Per esempio: "Accetto che torni a mezzanotte a patto che tu mi telefoni per dirmi dove sei". Oppure, se vuole il piercing: "Sull'orecchio va bene, ma sulle labbra, sul naso o sulla lingua no".

L'insulto non è ammesso
Urla, volano parole grosse e nostro figlio ci manca di rispetto. Offendersi non serve. Piuttosto riprendiamolo con fermezza e se insiste, si può ricorrere a una punizione. L'insulto va comunque considerato inaccettabile e contrastato in modo assoluto, anche se mai violento.

Polemizza su tutto: tieni ferme le regole
A nostro foglio non va bene nulla, è un continuo criticare. Non ribattiamo parola per parola, piuttosto agiamo. Contesta l'orario del rientro? Spieghiamogli le ragioni, senza cambiare idea. Se non rispetta le regole, non stanchiamoci di ribadirle. Prima o poi la semina darà i suoi frutti.


FONTE. http://www.riza.it/figli-felici/adolescenti/2599/mio-figlio-mi-tratta-male.html

martedì 8 aprile 2014

CRISI DI COPPIA?

La crisi di coppia, spegnendo momentaneamente la passione, può preparare le condizioni giuste per un nuovo coinvolgimento.
 
La crisi di coppia: l'errore più comune

Quando siamo innamorati e l'anima si accende di passione, spesso commettiamo un tipico errore di valutazione: riteniamo che una crisi di coppia  tra di noi sia impossibile, che la fiamma debba rimanere sempre accesa, forte e intensa.
Così, quando la persona che ci sta accanto dimostra improvvisamente una certa freddezza, noi ci ribelliamo tentando ostinatamente di ripristinare al più presto l'atmosfera precedente.
In realtà a volte questa "sopresa", appunto la crisi di coppia è l'indizio di una nostra precedente disattenzione, più che di un cambiamento improvviso del partner: ci sono stati segnali premonitori (frasi, comportamenti) che, semplicemente, non abbiamo colto. Il motivo? Abbiamo iniziato a dare per scontata la relazione, a vederla come un'abitudine. Risultato: abbiamo trascurato le richieste di attenzione del partner, innescando così anche un suo progressivo distacco e l'inizio della crisi di coppia.
Ma in moltissimi altri casi, è invece fisiologico che in una coppia si alternino momenti di grande vicinanza ad altri di maggiore distacco, che viviamo come crisi di coppia. Consideriamo che qualsiasi rapporto è ricco quanto più conosce la varietà, cioè se non vibra sempre sulle stesse note. In alcuni momenti prevale il calore e il coinvolgimento, in altri la freddezza e il distacco e, a volte, si può affacciare anche la crisi. La cosa peggiore sarebbe intervenire in questa preziosa alchimia cercando di imporre a tutti i costi ad un modello "di coppia sempre innamorata".

La crisi di coppia: l'atteggiamento giusto da adottare

Il primo passo da fare in questi casi è accorgersi della freddezza del compagno, non contrastarla e soprattutto non lamentarsene: innescheremmo solo una catena di rivendicazioni e litigi.
Al contrario la cosa giusta da fare è assecondare l'andamento irregolare di ogni relazione accettando che possa arrivare una crisi di coppia, vivendola però come una fase di rinnovamento e trasformazione del rapporto.
Il filosofo francese M. E. de Montaigne scriveva: «La nostra vita è composta, come l'armonia del mondo, di cose opposte e anche di toni diversi, dolci e aspri, acuti e bassi, molli e gravi. Il musicista che prediligesse soltanto i primi, che musicista sarebbe? Bisogna che se ne sappia servire nel complesso e amalgamarle...».
I momenti di distacco e freddezza, se vissuti consapevolmente come "una fase" in cui le due anime si svuotano l'una dell'altra, aprono la possibilità di un nuovo incontro ancora più ricco, perché liberato dal peso di abitudini e automatismi, cioè di tutti quegli atteggiamenti che rischiano di trasformare nel tempo la vita di coppia in una routine.


FONTE: http://www.riza.it/psicologia/coppia-e-amore/2032/la-crisi-fa-bene-alla-coppia.html