venerdì 14 giugno 2013

LA NOTTE NON RIESCO A DORMIRE E...MANGIO!



Alcune persone la notte non riescono a prendere sonno, si svegliano, si alzano e…aprono il frigorifero cercando qualcosa da mangiare! 

Di che si tratta?
Albert Stunkard, nel 1955, ha parlato per la prima volta di NES, Sindrome dell’Alimentazione Notturna. 

Che cos’è la NES?
E’ una combinazione tra disturbo dell’alimentazione, disturbo del sonno e disturbo dell’umore.
Si può sospettare la NES quando sono presenti i seguenti aspetti:

  •  Mancanza di appetito la mattina
  • Alimentazione eccessiva la sera
  • Difficoltà ad addormentarsi e necessità di mangiare prima di addormentarsi
  • Risvegli notturni associati alla necessità di mangiare per riuscire a riaddormentarsi
  • Prevalenza di depressione e stress.

C’è quindi in prima linea un’alterazione del comportamento alimentare. 
Tipicamente le persone affette da NES si svegliano la mattina senza appetito e tendono a saltare la colazione e a volte anche il pranzo. Verso sera torna la fame e tendono così a mangiare in eccesso a cena o dopo. Il sonno non è continuativo e spesso queste persone riferiscono che riescono a riaddormentarsi solo se prima mangiano qualcosa, come se il cibo avesse un affetto calmante e rilassante. Chi soffre solo di disturbi del sonno non sente quasi mai la necessità di mangiare. Si è riscontrato che le persone affette da NES soffrono di diversi problemi emotivi. Nel 45% è presente uno stato depressivo, accompagnato da sensi di colpa per quanto mangiato precedentemente. Spesso vi sono sentimenti di vergogna, scarsa capacità di autocontrollo e un profondo senso di inefficacia. Non ultimo vi è l’imbarazzo per il loro comportamento e l’aumento di peso.
La terapia principale per il NES sembra essere quella di tipo psicoterapeutico. Molto utili sembrano essere sia le terapie di gruppo si la terapia individuale. Accanto a questo tipo di terapia, è importante anche un controllo del peso attraverso qualificati dietologi. 

Dott.ssa Laura Prada

martedì 4 giugno 2013

TROPPO AMORE AI FIGLI...FA MALE!



Siamo inclini a pensare che ciò che danneggi le relazioni abbia a che vedere con la mancanza, la carenza…. Quando pensiamo ai sentimenti, all’affetto, ragioniamo in termini di quantità, imputando la sofferenza relazionale a qualcosa avvertito come “poco”, “non abbastanza”.
Nelle relazioni d’amore genitoriale – come anche in quelle di coppia – le difficoltà non si esauriscono nel rifiuto e nella freddezza. L’amore è una questione di qualità più che di intensità/frequenza e non ha mai la sostanza del possesso.
In particolare, mi riferisco ad uno stile di accudimento genitoriale che predispone a rischio psicopatologico i figli proprio in nome del “troppo amore”.
Alcuni genitori (specialmente le madri, tra il 12 e il 25%) sono ipercoinvolti, mostrano eccessiva preoccupazione nelle relazione con i figli, quando sono piccoli ma anche in età adulta.Questa modalità è stata chiamata anche Helicopter Parental Style per sottolineare il movimento di ricognizione – proprio come gli elicotteri – effettuato sopra le teste dei figli per evitare loro “catastrofi”, proteggerli da minacce esterne.
Nell’immediato, il danno è nel non riconoscere un figlio come entità distinta con bisogni di crescita peculiari per ogni età. La crescita è fatta di progressive conquiste di autonomia che un figlio può attuare solo se è nella condizione, prima, di esplorare e prendersi il rischio della scoperta, dopo di assumersi la responsabilità delle scelte e delle proprie esperienze.
A lungo termine, secondo una recente ricerca pubblicata sul Journal of Child and Family Studies, questo stile di accudimento predisporrebbe al rischio in età adulta di depressione, ansia, scarsa percezione di autoefficacia e scarsa “fiducia” nei propri pensieri, desideri, emozioni.
L’iperprotettività, il controllo, l’induzione del senso di colpa, nel caso i figli vogliano allontanarsi, sono strategie per mantenerli invischiati nella famiglia d’origine.
Ci si dovrebbe chiedere, per ciascuna famiglia, qual è l’ “utilità psicologica” del trattenere i figli a sé.



FONTE: Mariateresa Papaccio,http://www.ladyo.it/2013/il-troppo-storpia-anche-in-famiglia

sabato 1 giugno 2013

COME PARLARE AI BAMBINI DI COSE SPIACEVOLI



Otto consigli utili per parlare ai bambini di tragedie o comunque avvenimenti che spesso lasciano i genitori (o gli adulti in generale) spiazzati e incapaci di spiegare ai bambini cos’è avvenuto o cosa sta avvenendo.

1. Siate disponibili
In accordo con quanto detto dal Children’s National Medical Centerer, permettete ai bambini di sapere che voi siete pronti a rispondere alle loro domande. Va bene se non saprete rispondere a ciò che vi sarà chiesto, l’importante è far sapere ai bambini che siete lì per loro.
2. Siate creativi
Se i bambini hanno difficoltà a parlare di violenza nelle scuole, considerate l’arte o la musica come strumenti attraverso i quali possono esprimere i loro sentimenti.
3. Rassicurate i bambini. Loro sono al sicuro.
La Connecticut Education Association sostiene che gli adulti dovrebbero rassicurare i bambini e che
adesso va tutto bene.
4. Adeguatevi all’età
Utilizzate un linguaggio adatto all’età del vostro bambino.
Limitatevi a frasi brevi e semplici nel caso in cui state dialogando con un bambino delle scuole elementari.
Con i ragazzi delle scuole medie e/o superiori, invece, cercate di incoraggiare una discussione più matura
5. Passate in rassegna le procedure di sicurezza
Fate in modo che i bambini siano più consapevoli delle misure di sicurezza esistenti e delle persone cui possono rivolgersi se si sentono a rischio.
6. Fatevi domande
Cercate di capire cosa i vostri bambini vi stanno davvero chiedendo o per cosa sono veramente preoccupati prima di dar loro una risposta.
7. Limitate l’esposizione alla notizia
Secondo l’American Psychological Association i bambini potrebbero credere che una cosa succede tante volte quante sono le volte che la vedono, per cui monitorate il tempo dedicato all’accaduto e la frequenza con cui i bambini assistono alle immagini o alle notizie della tragedia.
8. Attenzione ai segnali di pericolo
L’APA suggerisce di stare attenti a quei segnali che potrebbero indicare dei problemi di elaborazione delle informazioni da parte del bambino. Questi segni possono essere il rifiuto di andare a scuola, incubi frequenti o un numero insolitamente elevato di mal di testa o dolori di stomaco. Cambiamenti da considerare possono riguardare anche il rendimento scolastico e le relazioni sociali con gli amici o gli insegnanti.

FONTE: http://psicok.altervista.org/