domenica 29 settembre 2013

SUNDAY BLUES: PERCHE' LA DOMENICA MI SENTO DEPRESSO?

Vi posto un piccolo articolo scritto dalla mia coterapeuta, la Dott.ssa Bassani.

Buona lettura...e soprattutto...BUONA DOMENICA!

Vi è mai capitato che la domenica vi sentiate tristi o agitati?
Perchè succede?  Di cosa si tratta? 
Gli inglesi la chiamano "sunday blues" (ovvero "sindrome della domenica"): si tratta di uno stato di malessere che insorge la domenica e che si collega al pensiero dell'avvicinarsi del lunedì, della settimana lavorativa e di tutti gli impegni che ci aspettano.
Si tratta di una sindrome che si sta sempre più diffondendo nei Paesi industrializzati e colpisce una persona su quattro.
Come si manifesta?
Solitamente ha inizio nelle ore pomeridiane o serali: la persona che ne è colpita diventa triste in modo "quasi improvviso", apatica o avverte sintomi ansiosi all'idea di ricominciare la settimana.
In alcuni casi possono essere correlati sintomi fisici quali: emicrania, mal di stomaco, tachicardia, difficoltà nella respirazione. 
Come farvi fronte?
  • Non considerare la domenica come un giorno di "solo relax", ma inserire attività piacevoli che consentano di non pensare a ciò che ci aspetta al lunedì, ma anche di diminuire il "salto" da una giornata di assoluto riposo al lunedì di frenetici impegni.
  • Non essere troppo metodici e routinari ma ogni tanto "invertire il sabato e la domenica": riposatevi il sabato e svolgete alcune attività la domenica (v. fare la spesa...)
  • Programmare attività da svolgere con gli amici, invitarli a casa, organizzare qualche uscita fuori...
  • Scrivere un diario che consenta di individuare dove ha origine la tristezza, se riguarda il lavoro o problematiche relazionali/familiari, così da capire e affrontare le proprie difficoltà in modo mirato.
  • Prestare attenzione a quando si manifestano i sintomi per capire se sono circoscritti alla domenica o se perdurano nella settimana e sono quindi collegati a un'insoddisfazione più diffusa.
Quando contattare uno specialista?
Se il malessere diventa consistente o se è generalizzato a diverse aree della propria vita, è bene rivolgersi ad un esperto in modo da approfondire l'origine del proprio disagio e affrontarlo al meglio, considerando tutti i risvolti e le sfaccettature.

giovedì 26 settembre 2013

SE MAMMA E PAPA' SI SEPARANO...I NONNI POSSONO ESSERE UNA RISORSA?




Da numerose ricerche emerge  come le famiglie dei nonni siano tutt’altro che tenute ai margini durante il processo di disgregazione familiare.
      Per i figli il rapporto con essi risulta essere di cruciale importanza. Spesso, infatti, il legame mantenuto coi nonni costituisce l’unica opportunità per i figli di accedere alla propria storia familiare, al di là della separazione dei genitori. 
Una ricerca di Cooney e Smith (1996) ha esaminato la relazione tra divorzio genitoriale e solidarietà intergenerazionale in un campione di 288 nipoti con i loro nonni. Emerge che i nipoti di famiglie separate tendono, più dei loro coetanei, a mantenere contatti con i nonni e ad andarli a trovare più spesso, anche senza la mediazione dei genitori. Ciò conferma l’importanza per i figli di genitori separati di mantenere un costante contatto con la propria origine, anche al di là della frattura coniugale.
Inoltre, quando l’atmosfera in casa è piena di incertezze e di rancore, i nonni spesso danno stabilità ai bambini, fornendo calore e amore.
Nel caso in cui, dopo il divorzio, i figli sono stati affidati alla madre e quindi la figura del padre è assente e lo può essere anche in modo prolungato, allora al nonno spetta un compito importante in quanto, anche se non può e non deve sostituire il padre,  i figli sentono il bisogno di una figura maschile, che viene evidenziata nel nonno.
È chiaro che in mancanza di nonni anche altri parenti, come gli zii, possono rivestire un ruolo importante e fondamentale, perché  possono riuscire a colmare il vuoto che i bambini sentono a seguito di un divorzio.
Non bisogna dimenticare che i nonni , oltre ad essere un ottimo fattore protettivo per i nipoti, lo sono anche per i propri figli. Sono soprattutto le madri separate a cercare un appoggio nella famiglia d’origine più che ad impegnarsi a ricostruire una nuova famiglia  (Scabini e Iafrate, 1997).

Dott.ssa Laura Prada


mercoledì 18 settembre 2013

TIMIDEZZA: PROBLEMA O RISORSA?

La persona timida ha la continua sensazione di sentirsi al centro dell’attenzione.

Poco meno della metà delle persone, soffre o ha sofferto di problemi legati alla timidezza, questa caratteristica che dovrebbe essere considerata come una normale componente caratteriale, in una società come al nostra, legata a canoni di ricerca di perfezione e successo, rischia di diventare fonte di malessere se chi ne soffre manifesta una crescente difficoltà nello stare in mezzo agli altri, sino ai giungere a casi estremi di isolamento sociale.
La persona timida nelle situazioni in cui sta a disagio tende a diventare con facilità rossa in viso, comincia a sudare, ha il battito cardiaco accelerato, vive in uno stato d’ansia e ha la tendenza ad evitare situazioni sociali perché si sente inadeguato e costantemente al centro dell’attenzione. La comparsa di questo disagio avviene in due importanti momenti dello sviluppo: l’infanzia o l’adolescenza. Rispetto all’infanzia sono state analizzate delle caratteristiche comuni presenti nella famiglie di persone timide.
E’ stato riscontrato che è fondamentale il rapporto tra genitori e figli nei primi anni di vita e in base a ciò sono state individuate alcune situazioni familiari che possono favorire l’origine della timidezza:

1) Dei genitori timidi e introversi, perché cresciuti in assenza di modelli di socializzazione sufficienti o hanno sofferto di atteggiamenti svalutativi da parte di uno o di entrambi i genitori, con critiche e derisioni continue, contribuiscono a creare un senso di insicurezza e inadeguatezza all’interno della propria famiglia riproponendo il modello appreso.
2) Dei genitori troppo protettivi e ansiosi, perché diffidenti rispetto a ciò che più avvenire dall’esterno senza la loro supervisione, non riescono a trasmettere la sicurezza di cui i bambini hanno bisogno per affrontare le situazioni sociali. Questa iper-protezione comporta che mentre in famiglia i figli si sentono sicuri perchè protetti dalle figure di riferimento, appena escono fuori dal loro ambiente queste sicurezze vengono a mancare e provano disagio e insicurezza nel confronto con l’esterno.
3) Dei genitori rigidi e severi, non riescono a creare un clima in cui l’emotività può essere espressa liberamente perché assumono una funzione persecutoria. I figli non trovando questo clima emotivo facilitante, non riescono ad aprire un dialogo con i genitori verso cui si sentono insicuri e timidi, e ripropongono nelle relazioni sociali questa stessa modalità, per paura del giudizio esterno.
Durante la crescita, se queste situazioni elencate non hanno dato nessun segnale di malessere, il disagio può emergere in adolescenza. Questo periodo è molto delicato perché avviene il cambiamento corporeo che non procede parallelamente a quello psicologico, l’adolescente si sente spesso inadeguato in un corpo adulto, perde le sicurezze apprese in precedenza, e cambia il punto di riferimento, non più i genitori ma il gruppo dei pari e le certezze acquisite in famiglia assumono un connotazione differente. I coetanei diventano gli interlocutori più importanti tanto che il rapporto con loro può influenzare le sfera scolastica, sportiva e affettiva, ed essere timidi può esser vissuto come un problema. Pur non essendo una malattia, la timidezza è un disturbo che può creare un disagio notevole e nei casi più gravi può portare a delle complicazioni psicologiche e spingere ad utilizzare delle sostanze come alcol o droghe per poter diventare più disinibiti, apparire più sicuri, ed essere riconosciuti dal gruppo dei pari.
La persona timida ha la continua sensazione di sentirsi al centro dell’attenzione, pensa che gli altri lo giudichino in continuazione e semplici situazioni come incontrare un vicino, o il semplice fatto di andare al lavoro e di chiacchierare con i colleghi possono generare disagio. Chi è timido ha difficoltà a sostenere sguardi, silenzi, e situazioni imbarazzanti, come chiacchierare con un estraneo, parlare di se o passare davanti a persone che lo possono osservare.
Nella persona timida si restringe in modo considerevole la capacità di osservazione e il campo della coscienza, infatti egli si concentra unicamente sulla situazione che lo intimidisce. Al di fuori di questa egli non sente niente, non vede niente e non osserva niente, ha la sensazione di non essere all’altezza e la paura disturbare l’altro. Il timido evita di contraddire gli altri, e di schierarsi, per non perdere il consenso esterno, evita le discussioni e se riesce non fa domande precise durante le conversazioni.
La sua paura del conflitto riflette il timore di essere poco stimato. Infatti il problema che sta alla base della timidezza è una scarsa autostima. Questo aspetto infatti non emerge nelle situazioni in cui le persone timide si sentono sicure, sembrano scordarsi completamente del loro disagio e capaci di esprimere delle doti e qualità di cui spesso loro stessi si stupiscono. Quando ciò avviene possono finalmente emergere le molteplici qualità della persona timida, una sorta di tesoro prezioso che può essere mostrato solo a pochi eletti. Questo tesoro rende spesso la persona timida una persona speciale, proprio perché il lato inizialmente schivo e goffo, ne rende invisibili le sue doti.

Le qualità del timido sono numerose e per questo andrebbero evidenziate e rivalutate in continuazione: 

  • parla poco ed è capace di ascolto e di empatia perché la sua tendenza a restarsene in ombra ne fa spesso un attento osservatore;
  • la preoccupazione di nascondere all’interlocutore il minimo segno di insofferenza o di tensione lo rende un buon lettore degli stati d’animo altrui;
  • in ambito scolastico, la sua discrezione e il suo desiderio di fare bene sono spesso apprezzati dai professori;
  • il desiderio di essere amato e approvato ne fa una persona attenta alle esigenze dei altri ed è spesso disposto a sacrificarsi per far star meglio gli altri, etc….
Queste e molte altre qualità possono emergere col tempo, infatti con il raggiungimento della maturazione psico-fisica ed affettiva, la conquista di un buon livello di autonomia ed infine la consapevolezza delle proprie possibilità, cresce la propria autostima e la timidezza non viene più vissuta come un problema e superata.
Se questo passaggio non dovesse verificarsi e la timidezza dovesse diventare un problema, tale da portare ad un graduale isolamento sociale, chiedere un parere ad un esperto per fare un lavoro sulla propria autostima, potrebbe essere una soluzione, che potrebbe aiutare chi vive questa componente caratteriale come un problema a farla diventare una risorsa e a considerarla una caratteristica di cui andare fieri.



FONTE: http://www.psicologi-italia.it/psicologia/autostima/937/timidezza.html

giovedì 12 settembre 2013

IL MIO PARTNER MI TRADISCE!



Intendo qui per tradimento una relazione sessuale ed emotiva con una persona diversa dal proprio partner nelle coppie in cui il rapporto è caratterizzato dall’aspettativa di esclusività.
La rivelazione o la scoperta del tradimento del partner è spesso un’esperienza drammatica e assimilata da alcuni autori ad un evento traumatico.
La sua scoperta provoca intense e imprevedibili emozioni che possono variare dalla rabbia intensa alla vergogna, dalla tristezza all’angoscia al risentimento.
E’ spesso un episodio devastante per il partner ferito, che sconvolge la percezione di sé stessi, della propria relazione di coppia e del proprio partner.
Si può avere la sensazione di non riconoscere la persona che si ha accanto e di non averla mai conosciuta realmente: si ha l’impressione di trovarsi accanto ad un estraneo.
Il partner ferito può sperimentare pensieri intrusivi e immagini del proprio compagno con l’amante, desiderio di vendetta, estrema agitazione, e altri sintomi riscontrabili nel Disturbo post traumatico da stress, come disturbi del sonno, ansia generalizzata, irritabilità, difficoltà di concentrazione e ipervigilanza.
Il partner coinvolto nel tradimento sperimenta un cambiamento nella percezione di sé come persona onesta e dei propri valori personali, prova spesso intensi sentimenti di colpa e confusione sulle cause che lo hanno portato al tradimento.
Il tradimento è un evento causato da diversi fattori: fattori legati alla persona che tradisce, al partner, alla loro relazione e al contesto in cui sono inseriti.
E’ molto difficile individuare delle dimensioni personali o relazionali caratteristiche del tradimento coniugale.
Le ricerche in questo campo hanno rilevato delle problematiche coniugali che frequentemente costituiscono terreno fertile per il tradimento, ma non necessariamente presenti come cause specifiche.
I problemi coniugali che possono facilitare il tradimento di uno dei due partner sono:

Evitamento dell'intimità
L’intimità è un legame d’ affetto fatto di attenzioni reciproche, responsabilità, fiducia, comunicazione aperta dei sentimenti e delle sensazioni e dello scambio non difensivo quando accade o all’ uno o all’ altro qualcosa di emotivamente significativo.
La paura dell’ intimità agisce in modo molto distruttivo in un rapporto. Se uno dei due desidera questa vicinanza, farà degli sforzi per raggiungerla cercando di scambiare emozioni, condividere sensazioni, di passare del tempo insieme, mentre se l’altro ha paura dell’intimità cercherà sempre di fuggire.
C’è sempre uno che prova e l’ altro che resiste. A questo punto il primo si sente rifiutato, finché ci rinuncia, si arrabbia, si deprime o ha un’altra storia.
L’ altro invece si sente invaso, confuso, sottoposto a pressioni “ma cosa vuole da me? È un pozzo senza fondo…” e si ritrae ulteriormente, irritandosi con il partner.
Evitare l’ intimità può essere un progetto per entrambi i coniugi fin dall’inizio del rapporto, oppure è un atteggiamento che si può presentare nel tempo per evitare le difficoltà e le frustrazioni per l’incapacità a condividere sensazioni personali intime e problemi.
Con il passare del tempo si sviluppa una sorta di cecità relazionale ed il distacco emotivo, terreno fertile per la ricerca di nuove avventure.

Evitamento dei conflitti e creazione dei segreti
In queste coppie la stabilità è mantenuta “non vedendo e non sapendo”. La pace e la stabilità apparenti lasciano una relazione di fiducia e serenità senza una reale base solida. Nessuno dei due è realmente consapevole delle estensioni nascoste che l’ altro può avere dietro di sé.
Gli aspetti conflittuali sono tenuti nascosti o risolti  fuori dal matrimonio. Il rapporto è mantenuto rigidamente stabile, diventando un “rapporto come se”(..andasse tutto bene). In questo caso avere un amante è un modo per sfidare o dare una sferzata ad un rapporto matrimoniale rigido.

Conflitti aperti e irrisolti
L’incapacità ad impegnarsi in interazioni efficaci e creative per risolvere i problemi all’interno del rapporto lascia insoddisfatte molte necessità personali e relazionali, portando ad una sempre maggiore frustrazione e amarezza e ad un bisogno di ricercare soluzioni esterne al rapporto stesso.

Rapporti sessuali insoddisfacenti o assenti
I problemi sessuali più frequenti sono: mancanza di passione, desiderio e attrazione, una disfunzione sessuale (ad es. impotenza, eiaculazione precoce ecc.), uso cronico del sesso come strategia di potere, difficoltà ad esprimere fisicamente il proprio amore e affetto.

Insoddisfazione verso l’equilibrio di potere nel rapporto coniugale
Molte coppie arrivano ad uno stato di blocco nella capacità di soddisfare le proprie necessità, simile allo scacco matto nel gioco degli scacchi: “né con te, né senza di te”. In questa situazione ciascun coniuge si sente incapace di fare il primo passo o non capisce se poterlo fare, non sa in quale direzione e quando farlo. Hanno paura di perdere il proprio potere personale verso l’ altro o di soffrire ancora.
Avere un amante può essere necessario ad uno dei due coniugi, in questo caso, per arrivare ad avere un equilibrio di potere rispetto all’ altro.

Conservare il mito del matrimonio e della famiglia ideale
Le coppie di questo tipo sono spesso viste dagli altri come le coppie ideali.
In pubblico appaiono felici, fanno diverse cose insieme, mostrano armonia e cordialità.
In realtà hanno sviluppato dei sofisticati meccanismi per coprire i buchi della loro relazione. Il matrimonio è tenuto insieme dal credere nella famiglia, piuttosto che dal legame tra i coniugi. I problemi sono affrontati cercando di far coincidere il matrimonio, il partner e sé stessi all’ immagine ideale della famiglia. Le sensazioni personali sono accantonate e prevale quello che “dovrebbe essere fatto” in quella situazione. Questo tipo di vita è troppo soffocante per lo sviluppo di chiunque. In questo caso la relazione extraconiugale aiuta a rompere la facciata.

Sfide al precedente sistema di valori
Le sfide alla precedente concezione di sé e del proprio sistema di valori può avvenire attraverso nuovi incontri sociali, come ad esempio nei processi di emigrazione o immigrazione, o la partecipazione a gruppi di persone o a relazioni in cui si crea un’ intensa intimità.
L’ idea di sé e dei propri bisogni può cambiare e provocare la ricerca di una relazione più adeguata alle nuove esigenze.

Sfide alla struttura coniugale e/o familiare
Questo tipo di sfide riguardano dei cambiamenti nella coppia che possono alterare i suoi equilibri e creare insoddisfazione nei partner. Alcuni esempi: un periodo lavorativo lungo in cui uno dei due coniugi è spesso assente da casa e l’ altro sente di non avere un partner con cui condividere la propria vita; un avanzamento di carriera di uno dei due coniugi e lo sbilanciamento di potere nella coppia che ne può conseguire.
Tutte le situazioni esterne che richiedono dei cambiamenti nelle abitudini della coppia, possono causare un malessere e una frustrazione che può spingere i partner verso una relazione extraconiugale, verso il tradimento del partner.

La psicoterapia di coppia è molto utile per affrontare e superare la fase iniziale della crisi, a volte drammatica e molto intensa a livello emotivo, che segue la scoperta o la rivelazione del tradimento del partner.
Il superamento della crisi iniziale, può aiutare i coniugi a riflettere sulla loro relazione, sulle cause che possono aver contribuito al tradimento, sul suo significato e ad avere un’idea più chiara di sé, del partner e del proprio rapporto.
Questo può aiutare a prendere decisioni riguardo al matrimonio (relazione di coppia), con maggiore chiarezza e consapevolezza, non per reazione alla crisi.
La crisi di coppia innescata dal tradimento dovuto ad una relazione extraconiugale può divenire un’ opportunità potenzialmente importante per entrambi i coniugi per sentirsi coinvolti nel mondo emotivo dell’ altro/a e per ricostruire la relazione coniugale su nuove basi in modo da permettere a entrambi i coniugi di soddisfare le proprie necessità.



FONTE: http://www.psiconauti.it/Tradimento.aspx

lunedì 9 settembre 2013

TRA QUALCHE GIORNO INIZIA LA SCUOLA: L'IMPORTANZA DEI COMPITI A CASA E DELL'ATTEGGIAMENTO DEI GENITORI VERSO LA SCUOLA!



Come inculcare buone abitudini di studio al piccolo scolaro, quale dovrebbe essere il ruolo del genitore e come capire se ci sono disagi?
Compiti a casa: un argomento molto dibattuto e non soltanto in Italia, per i risvolti che ha sulla vita familiare. Spesso basta poco per arrivare a pianti e urla. Così i fine settimana invece di rigenerare genitori e figli si trasformano in (inutili) match.
I consigli sono emersi a una giornata di studio promossa dal Servizio di psicologia dell'apprendimento e dell'educazione dell'Università Cattolica di Milano

I compiti a casa sono utili per il bambino
Secondo Manuela Cantoia,i compiti a casa sono utili ai bambini e alla loro crescita per i seguenti motivi:
  • aiutano il piccolo alunno a confrontarsi con la dimensione del dovere, fanno imparare la fatica;
  • sviluppano la capacità di organizzarsi del bambino e diventa più autonomo;
  • attraverso il lavoro a casa, un bambino impara a conoscere meglio se stesso, a reagire alla frustrazione, persistendo con costanza e determinazione al perseguimento dell'obiettivo;
  • a casa, il bimbo può essere più o meno bravo, questo non è il punto essenziale. Quello che conta è la sfida ad andare avanti lo stesso e non mollare. “Ricordiamo che in molti casi il rifiuto verso una situazione è legato alla paura di fallire,” dice la psicologa.
Certo, non è facile 'convincere' un bambino che i compiti sono utili soprattutto per lui. Per lui sono un obbligo e tolgono tempo al gioco. Sbagliato, secondo la psicologa, ostinarsi a dire che i compiti sono qualcosa di divertente.
“Per i bambini, i compiti sono un dovere e, quindi, noiosi a priori. Un compito è quello che è, non ha molto senso associarlo all'idea di divertimento che crea confusione anche nel bambino,” dice Cantoia, coordinatrice delle attività formative dello SPAEE ed esperta in psicologia dell'apprendimento.

Evitare lo stress si può, con le buone abitudini
Il primo passo per abituare i figli a svolgere i compiti senza troppe proteste, in modo sempre più autonomo, è quello di seguire una serie di semplici (ma efficaci) accorgimenti. Anche con l’aiuto di Emanuela Confalonieri, docente di psicologia dell'educazione e dello sviluppo, ecco alcuni consigli ai genitori.
  • Quando fare i compiti Non lasciate al caso lo spazio di tempo dedicato ai compiti. Per i bambini è importante l’organizzazione. All'inizio, è indispensabile essere anche un po' prescrittivi: se si decide, per esempio, di dedicare ai compiti il sabato mattina, è così, punto e basta, non si deve fare altro. Un approccio del genere, aiuta il figlio a imparare ad autoregolarsi.
  • Dove fare i compiti Il luogo dove fare i compiti deve favorire la concentrazione dei bambini. Quindi, se i compiti vengono fatti nella cameretta, la stanza deve essere in ordine e soprattutto lo deve essere la scrivania. Inoltre non ci devono essere in giro giochi, videogiochi, tv , palloni o altre cose che possono distrarre il bambino. Se la cameretta viene condivisa con un fratellino/sorellina o è impossibile fare ordine, forse potrebbe essere il caso di trovare un luogo alternativo. Per esempio, il tavolo della cucina o un angolo della casa dove c’è una scrivania e una sedia.
  • Un aiuto quando serve Il genitore che ha più pazienza, si assuma l’incombenza di dare una mano al bambino che chiede aiuto o che non capisce qualcosa. Meglio metterselo bene in testa: rimproveri e urla servono soltanto a stressare il bambino e a minare la fiducia nelle sue capacità. Quello che dovrebbero fare i genitori è esattamente il contrario: dare fiducia e evidenziare i risultati positivi (è quello che gli psicologi chiamano rinforzo positivo
  • Cosa fare se sbaglia Quando il genitore nota un errore, dovrebbe invitare il bambino a rileggere e a capire che cosa sbagliato. Inutile invece mandare a scuola il bambino con i compiti perfetti se poi non ha capito il concetto. Anzi, può anche essere deleterio perché la maestra non riuscirà a capire l’effettiva preparazione del bambino.
  • Controllo o non controllo? All'inizio del percorso scolastico, è meglio controllare, per esempio, che il figlio si ricordi di fare tutti i compiti (non solo quelli che preferisce!) o che porti il necessario per disegno o educazione fisica il giorno giusto. Ma poi, piano piano, il controllo deve diventare sempre meno stretto e, soprattutto, l'adulto non deve sostituirsi al figlio e fare le cose al posto suo. Il bambino cresce, diventa più responsabile e autonomo e impara anche a gestire la sua vita a scuola. Naturalmente, ogni bambino ha i suoi ritmi, mamma e papà devono rispettarli e capire quando il figlio è pronto a una maggiore autonomia e non ha più bisogno di una costante 'supervisione'.
Mamma e papà devono dare sostegno e fiducia
Secondo Marisa Giorgetti, ricercatore del Dipartimento di Psicologia, il concetto chiave è 'esserci'. Che cosa significa? “Il genitore deve offrire al figlio un sostegno emotivo alla sua fatica, mostrare comprensione e aiutarlo a sviluppare il senso di responsabilità e la capacità di applicarsi”, spiega la psicologa.
Inoltre, deve dare fiducia. “E’ molto importante incoraggiare il bambino quando è impegnato nei compiti. Il genitore può/deve rassicurare il figlio con un atteggiamento positivo. Il messaggio che deve trasmettere è: 'Dai, va tutto bene, puoi farcela!'.
Non solo. L'adulto deve diventare “complice del bambino nella capacità di sormontare gli ostacoli. Questo non vuol dire fare i compiti al posto suo, ma al contrario accompagnarlo, se necessario, a superare gli scogli”, dice ancora la psicologa.
La presenza del genitore ha anche “la funzione di sostenere l’autodisciplina: con il tempo, il bambino si metterà da solo a fare i compiti, in modo autonomo, senza troppe sollecitazioni da parte di mamma o papà”, dice Giorgetti.
Sulla stessa lunghezza d'onda, anche Annella Bartolomeo, psicologa e psicoterapeuta, sottolinea quanto l'ambiente familiare svolga un ruolo significativo nei confronti del successo scolastico del figlio. “La famiglia dovrebbe alimentare l’autostima del figlio, è fondamentale trasmettere al bambino l'idea che può farcela a svolgere quel compito. Altrettanto efficace è mostrare interesse verso i compiti a casa, sollecitando, piano, piano, l'autonomia del bambino”, dice l'esperta.

Il protagonista è il bambino, non il genitore
Il bambino deve sentirsi protagonista della sua esperienza scolastica, è molto importante. I genitori devono sostenerlo e essere presenti ma, attenzione, non sono loro a tornare tra i banchi di scuola.
“Appena inizia la scuola, questo obiettivo, chiaro per il mondo della scuola, deve esserlo anche a casa, per la famiglia - dice la docente di psicologia Emanuela Confalonieri. Occorre, dunque, sostenere un percorso di autonomia del figlio per ogni aspetto della vita scolastica - compiti, materiali, organizzazione - anche tra le pareti domestiche”.
Con il tempo, la famiglia può anche aiutare il figlio a capire che, se all'inizio si studia per fare contenta la mamma o la maestra – in realtà, imparare cose nuove ha un senso per se stessi e non per gli altri o per il voto”, sostiene la docente.
Questo è un percorso graduale, che richiede tempo e maturazione, e cambia per ogni bambino. All'inizio, quindi, può essere necessario insistere per fare i compiti. “Nel primi tempi a scuola, ci sono bimbi che fanno una reale fatica, stanno male - dice l'esperta. Si può provare a stargli accanto e poi lasciarli 10 minuti da soli a fare i compiti”.
Secondo la psicologa, a volte, “i genitori nutrono grandi aspettative verso il figlio, e ci tengono che vada a scuola con i compiti ben fatti - ed ecco la tentazione di farli al posto dei figli! -. In qualche modo, insomma gli adulti si sentono valutati. Questo atteggiamento, però, non aiuta il bimbo a imparare e diventare sempre più autonomo”.

Il bambino dice no. E se mascherasse un disagio?
Il bambino si lancia in mille scuse e pretesti per evitare i compiti? Secondo la psicologa e psicoterapeuta Annella Bartolomeo, questo comportamento potrebbe anche essere un segnale di disagio e non un semplice capriccio.
Oltre che parlare con il bambino (o tenendolo sotto osservazione per un po’), “potrebbe essere importante confrontarsi e parlare con gli insegnanti”, dice la psicologa per capire meglio il contesto scolastico e della classe (rapporto con gli insegnanti, rapporti con i compagni per esempio) oppure se ci sono problemi di apprendimento.
Per Bartolomeo se il bambino è in fase di opposizione con i compiti è molto importante anche evitare insulti, ricatti o punizioni perché generano “solo un vissuto di impotenza e rabbia nel bambino. E con il tempo, si rischia di sviluppare una resistenza ancora più forte nei confronti della scuola”.
A volte, inoltre, bisogna tenere conto che il carico di lavoro assegnato può essere davvero troppo pesante. “Le scelte didattiche possono anche non essere adatte a tutti gli alunni,” osserva Bartolomeo.
Infine, si tenga presente che le nuove generazioni vivono con insofferenza “la noia e la mancanza di eccitazione, quindi per loro 'rassegnarsi' o capire l'importanza dei compiti a casa è un po’ più difficile rispetto alle generazioni precedenti”, conclude Annella Bartolomeo.



FONTE: http://www.nostrofiglio.it/Bambino-7-13-anni/scuola/compiti_a_casa_5_concetti_chiave_ai_genitori.html