giovedì 29 agosto 2013

QUANDO L'ADOLESCENZA ARRIVA... (2° PARTE)



Ecco cinque suggerimenti di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, ricercatore presso l'Università di Milano, autore di diversi libri per i genitori tra cui Questa casa non è un albergo! (Feltrinelli), nonché padre di quattro figli.

  1. Gioca con tuo figlio al tiro alla fune

L'immagine del gioco del tiro alla fune può ben rappresentare, in tutte le sue sfaccettature, secondo Alberto Pellai, il rapporto genitori-figli negli anni 'turbolenti' dell'adolescenza.
Questa metafora, infatti, può aiutare il genitore (mamma o papà è uguale!) a riflettere sul suo atteggiamento e su come comportarsi con il figlio che sta crescendo.
Quando il figlio è piccolo, preferisce stare dalla stessa parte dell'adulto, in 'squadra' - non tira la corda - cerca piuttosto un alleato nel genitore per affrontare la sua quotidianità.
Con l'ingresso alla scuola media, invece, il ragazzino passa dall'altra parte del campo, comincia a tirare la fune per far entrare l'adulto nel suo territorio. A questo punto, occorre trovare un equilibrio tra i giocatori: ecco la vera fatica del genitore che dovrebbe tirare la corda con una forza ben ponderata per ogni singola situazione.
  • Il genitore forte che tira sempre dalla sua. Con uno strattone potente, ogni adulto può vincere (abbastanza facilmente) a questo gioco, ma per Alberto Pellai non è questo l'approccio migliore. "Il genitore potente che tende a tirare sempre la fune dalla sua parte - dice Pellai - obbliga così il figlio a essere solo ubbidiente, non lo lascia mai giocare la sua partita e, quindi, neppure diventare grande. A un comportamento del genere come i classici: 'No, perché no e basta!'; 'Qui comando io!'; 'Non se ne parla proprio!', il figlio reagisce covando, piano piano, rabbia e ostilità. In più, tra divieti, regole e paletti, il ragazzo non riesce a fare esperienze (necessarie per crescere) e non si costruisce una adeguata muscolatura emotiva”, sostiene l'esperto dell'età evolutiva. "Il mondo è pieno di uomini e donne, che, da adolescenti, sono stati obbligati a vivere come fantocci, dominati dalla invadente presenza di madri e padri per cui nulla era negoziabile, capaci solo di far fare ai figli ciò che li rendeva tranquilli", aggiunge Pellai citando il libro dove spiega la sua metafora del tiro alla fune (Da padre a figlia. La lettera che ogni padre vorrebbe scrivere, le parole che ogni figlia dovrebbe leggere, San Paolo Edizioni).
  • Il genitore che molla (subito) la fune. Se tirare sempre con forza la fune non va bene, altrettanto scorretto è l'atteggiamento opposto da parte dell'adulto: mollarla subito. In questo modo, il figlio tira e si trova allo sbando perché non c'è più nessuno dall'altra parte a giocare con lui. Vince, insomma, senza fatica. Di conseguenza, secondo Pellai, l'adolescente ottiene la libertà tutta di un colpo, senza averla conquistata passo a passo (tirando un po' la fune). Questo è pericoloso perché non è pronto per gestirla. “Qualche figlio prova a far capire ai propri genitori che forse sarebbe il caso di mettere un limite, di inserire, di tanto in tanto, qualche eccezione alla regola della libertà assoluta”. In genere, l'adulto che ha mollato così la corda, non raccoglie la richiesta d'aiuto del figlio (che in qualche modo chiede attenzione e vorrebbe essere 'bloccato'). E, non a caso, - in base all'esperienza dello psicoterapeuta - quando i problemi del figlio si fanno seri, questi genitori dicono di non essersi mai accorti di nulla.
  • La terza via: si tira la fune quando occorre. “A un figlio serve un genitore presente che sappia 'stare nel gioco' e capisca quando lui tira perché si trova di fronte a una sfida evolutiva”, dice il medico. In altre parole, per Pellai, il genitore dovrebbe essere disponibile a giocare la partita con il figlio, calibrando la forza con cui tira la fune, per tutto il tempo della sua adolescenza (che non ha un inizio e una fine ben definiti). Certo, un approccio così può essere faticoso per l'adulto - come ammette lo stesso Pellai - perché richiede attenzione ed energia e capacità di mettersi in gioco. Questa partita cambia sotto gli occhi del genitore ogni giorno, ma aiuta ad affrontare tutti gli aspetti della vita di un ragazzo tra i 10 e i 18 anni. Se il figlio sta per mollare la fune, il genitore deve incoraggiarlo a tirare un po', quando invece tira troppo, è importante per l'adulto esercitare la stessa forza (evitando che il ragazzo tiri tutto dalla sua e vada incontro a pericoli o problemi). “Insomma, a volte, ci vuole una forza uguale e contraria, a volte si tira un po' di più, in altri casi, molto meno, in base alla singola situazione” - spiega ancora lo psicoterapeuta.
2) Non cedere a tutte le richieste. Bisogna negoziare
Ogni adolescente dovrebbe negoziare (e quindi, confrontarsi, e discutere) con l'adulto le sue conquiste. Se il genitore cede a ogni tipo di richiesta e dà tutto subito a 15 anni, senza mettere dei paletti, non ci sarà più modo di farlo successivamente. “Se, per esempio, nostra figlia (o figlio) che è sempre venuta con voi in vacanza, chiede a 14 anni di andare da sola con il fidanzato, occorre fare attenzione. Il motivo è semplice: un nostro primo sì totale sulla questione vacanze a questa età, getterà le basi per cui a 16 anni non avrà più nulla da negoziare”, dice lo psicoterapeuta. In questo caso, mamma e papà possono andare incontro alla figlia, proponendo soluzioni alternative e un po' 'creative' che mettono, comunque, un chiaro paletto alla richiesta originale. Come? Un'idea, per esempio, è quella di invitare una settimana il ragazzo in vacanza insieme alla famiglia lasciando poi ai 'fidanzatini' una certa libertà di manovra (tipo uscire la sera da soli per fare una passeggiata, mangiare una pizza o ballare con altri amici). Anche far andare la figlia qualche giorno con il ragazzo e i suoi genitori potrebbe essere un buon compromesso. E ancora, una alternativa possibile è permettere alla figlia di partecipare a una gita scolastica (dove, ovviamente, i genitori non ci sono ma i prof sì!) con il ragazzo in questione. In sostanza, nella fase tra 12-15 anni, è molto importante che ci sia lo 'spazio' per parlare, discutere, negoziare, appunto, ogni richiesta con il genitore. “In questa fascia d'età, il ragazzo vuole tutto subito, spesso in base al fatto che 'gli altri ce l'hanno e tutti lo fanno' . Premesso che non è affatto così, questo modo esclude la contrattazione con l'adulto. Quando l'adolescente ottiene qualcosa solo per imitare gli amici o in base alle sollecitazioni del consumo, il genitore ha perso completamente il suo ruolo. Il progetto educativo è diventato un progetto di consumo”, spiega Alberto Pellai.

3) Genitore rigido, protettivo o amichevole? Dipende dai casi
L'atteggiamento del genitore dovrebbe cambiare nei confronti del figlio in base alla situazione o al problema da affrontare. Un approccio sempre rigido, solo protettivo o troppo amichevole non si presta bene a ogni diverso momento della vita di un adolescente, secondo Pellai. Il genitore, insomma, dovrebbe sforzarsi di avere un approccio 'mobile'. Con questa ulteriore immagine di 'movimento' (come quella del gioco alla fune), lo psicoterapeuta ribadisce, in sostanza, l'importanza di evitare la 'rigidità' totale. “Pensiamo all'idea di porsi davanti, di fianco e dietro a nostro figlio; tutto dipende dalla situazione e occorre valutarla con attenzione. È importante, per esempio, stare davanti al ragazzino per proteggerlo dai pericoli che devono essere chiari per l'adulto. In questa posizione, il genitore segna un po' il percorso, dice dei 'no' e rappresenta una bussola per il figlio. A volte, invece, è preferibile essere di fianco al figlio: un approccio amichevole, di tanto in tanto, è molto utile, ma non bisogna esserlo tutto il tempo e in ogni occasione. Occorre anche, in alcuni casi, che il genitore stia dietro al figlio e gli dia una spinta... Magari, perché non si sente all'altezza o non ha la forza per esplorare. In questo modo, i progressi aumentano sempre più, questo significa diventare grandi”, sostiene l'esperto. Purtroppo, l'adulto affaticato tende ad adottare una posizione sola tra quelle descritte sopra e questo non aiuta mai la relazione e la crescita del figlio.
“Il genitore efficace riesce a tenere bene queste tre posizioni quando servono in base alla singola situazione. L'adolescente deve riconoscere che il genitore è su un piano sopra il suo e, allo stesso tempo, l'adulto è tenuto ad ascoltare e vedere le ragioni del figlio. Questo rientra in un progetto educativo più ampio. Non è un diritto, per esempio, che il ragazzo vada a un concerto e faccia molto tardi tutti i sabati sera, ma si può discutere insieme e valutare con serenità il singolo caso. In altre parole, è la logica del tiro alla fune, a patto che il figlio sia competente” - conclude Alberto Pellai.

4) Il genitore deve fare da ‘filtro’ alle richieste
Di fronte alle esigenze 'nuove' e alle richieste sempre più pressanti del figlio (indipendentemente dal fatto che siano legate a oggetti concreti, permessi, cose da fare...), l'adulto deve avere una funzione di contenimento, secondo l'esperto. “Tutto deve passare attraverso il genitore che è una sorta di 'filtro': questo fa parte del progetto educativo - sostiene il medico e psicoterapeuta. In questo modo, il ragazzo percepisce che il suo interlocutore è presente, non 'molla', ogni cosa va discussa e analizzata insieme. Insomma, l'adulto di riferimento è significativo e, di conseguenza, a lui vanno indirizzate le richieste”. Un esempio concreto e abbastanza tipico? Vostro figlio vuole fare la festa per i suoi 14 anni senza adulti nei paraggi e chiede di spostarvi per il weekend nella casa al mare a 200 km di distanza...In un caso del genere, secondo Alberto Pellai, l'adulto dovrebbe negoziare la richiesta (come in ogni altra occasione) con l'adolescente. Questo significa progettare insieme la festa e dare regole chiare, promettendo, per esempio, di andare, durante la festa, a casa di amici vicini di casa (e non al mare a 200 km!). “In questo modo, l'adulto può entrare una volta in casa, nel corso della festa, per salutare - spiega lo psicoterapeuta - verificando così che tutto sia a posto. In questo modo, ecco che il genitore svolge la funzione 'filtro' di cui un 14enne ha probabilmente bisogno”. In altre parole, è importante che la famiglia non 'ubbidisca' (andando al mare), poiché il genitore deve avere la possibilità di monitorare la presenza di tabacco, alcol (ed eventuali canne) al party. “I danni più grandi in situazioni simili li ho visti in feste di 14enni che avevano ricevuto il permesso di una totale autogestione e, naturalmente, non hanno saputo gestirsi bene perché non erano pronti” - dice Alberto Pellai.
Un altro esempio: la tecnologia. Un altro caso ormai tipico, dove è essenziale che il genitore agisca da 'filtro' è il rapporto tra adolescente e tecnologia. Non importa tanto quale strumento hi-tech o contenuto e servizio digitale, il figlio voglia usare... Che si tratti di un classico pc o notebook collegato a Internet, o dei più recenti dispositivi touchscreen come tablet e telefoni smartphone, l'adulto dovrebbe avere un'idea chiara in testa sul possibile (e corretto da un punto di vista educativo) utilizzo da parte del figlio.

5) Ogni problema va valutato con attenzione
Ogni situazione o problema della vita dell'adolescente richiede un'attenta valutazione da parte dell'adulto, conclude Pellai. Inoltre, indipendentemente dalla questione specifica in sé, è utile avere in mente una rosa di principi che dovrebbero ispirare la pratica quotidiana del 'fare' il genitore. Ecco, secondo Pellai, quali principi dovrebbero guidare il genitore di un’adolescente.
  • Anche se un figlio sembra indifferente, per lui conta molto ciò che dicono o fanno mamma e papà.
  • A un figlio adolescente serve un genitore che continui a essere padre e madre, non un amico.
  • Di fronte ai cambiamenti del figlio, l'adulto deve cambiare il suo modo di porsi, di fare il genitore.
  • Considerate i cambiamenti di vostro figlio come segnali di conquista della sua autonomia.
  • Accogliete le nuove richieste di vostro figlio senza bollarle come pretesti per allontanarsi da voi: anche attraverso nuove esperienze, l'adolescente trova il suo posto nel mondo.
  • Quando vostro figlio raggiunge un buon risultato, ditelo in modo chiaro con frasi tipo : 'Sono orgoglioso di te!'.
  • Se siete esasperati, non buttatevi in liti furibonde, lasciate passare la notte e comunicate a vostro figlio cosa avete deciso (eventuali sanzioni, castighi) il giorno dopo.
  • Non date mai permessi che vi sembrano eccessivi per vostro figlio: la libertà non va data in blocco ma va fatta conquistare attraverso passaggi graduali.
  • Evitate di fare ricatti morali continui ('Così mi farai venire un infarto!'), o di essere autoritari, giocando sempre a braccio di ferro per ogni cosa. Questo modo di comportarsi trasforma la crescita in una lotta senza frontiere e mina la stima dell'adolescente.


FONTE: http://www.nostrofiglio.it/Bambino-7-13-anni/salute/Figli_adolescenti_5_figli_ai_genitori.html

domenica 25 agosto 2013

QUANDO L'ADOLESCENZA ARRIVA... (1° PARTE)



Normalmente con l’adolescenza scompare il figlio bambino e inizia una lenta distanza con i genitori. Spesso questo crea difficoltà ai genitori stessi che non sanno più come comportarsi.
Secondo Erikson l’adolescenza corrisponde allo stadio della crisi d’identità e si caratterizza per l’abbandono dell’identità della fanciullezza per costruirne una più adeguata per la vita adulta. Il concetto di crisi nasce dall’idea che ci debba essere un cambiamento e dal fatto che l’adolescente “sceglie” come e cosa vuole diventare. Il risultato è positivo se il ragazzo riesce a scegliere una prospettiva essenziale unica e coerente che armonizza tutti gli aspetti del sé. Chi supera la crisi significa che ha esplorato efficacemente le possibilità presenti nei diversi ambienti e ha costruito una sua direzione.
Alla struttura dell’identità contribuiscono oltre che la dotazione biologica, anche i vari ambienti di appartenenza come la famiglia, i coetanei, la scuola e i valori culturali.
In questa fase diventa fondamentale la relazione con i coetanei. Gli adolescenti si staccano sempre più dalla famiglia avvicinandosi agli amici. Sono proprio questi contesti extrafamiliari che rispondono all’esigenza di autonomia e consentono di interpretare ruoli diversi da quelli sempre recitati in famiglia e permettono di scoprire anche aspetti di sé che non avevano ancora avuto modo di conoscere.

Le regole..perchè un adolescente non le rispetta più?
Vediamo un esempio molto tipico: ”Ieri ho cercato veramente di comunicare con mia figlia. Le ho detto che è importante che lei si confidi con me e mi parli delle sue frequentazioni".
Lei mi ha risposto
"Mamma, ti prego, smettila di dirmi sempre quello che devo fare!".
La cosa principale che i genitori notano è che i figli quando diventano adolescenti non rispettano più le regole e si confidano molto meno.
Questo accade perché i ragazzi vogliono imparare da soli, per misurarsi con se stessi per distanziarsi dalla famiglia e facilitare il passaggio ad una nuova fase della vita. Solitamente però, la ribellione non è mai totale. Il rifiuto riguarda in modo particolare i tentativi dei genitori di controllare cosa i ragazzi fanno. Infatti quando i figli iniziano a voler essere trattati come adulti i genitori temono che possa accadere loro qualcosa di brutto e quindi pensano che la cosa migliore da fare sia quella di aumentare sui loro figli il controllo. Non c’è nulla di più sbagliato, perché significa non favorire l’autonomia del ragazzo e l’autonomia è uno dei compiti di crescita fondamentale di questa fase adolescenziale.
Ecco perché spesso in adolescenza ci sono sempre più conflitti tra genitori e figli.
La cosa importante per un genitore è riuscire a osservare i propri figli senza invadere il loro tentativo di autonomia, ma assicurando un certo grado di sicurezza e di accompagnamento.

Cosa accade alle mamme e ai papà?
Spesso per le mamme l’adolescenza di un figlio viene vissuta con smarrimento e tristezza. Quando il bambino era piccolo la mamma si sentiva un punto di riferimento, una guida, sempre a conoscenza di quello che accadeva al proprio bambino e con la capacità di comprenderlo anche senza le parole. La mamma spesso è in difficoltà a lasciare il proprio bambino per lasciare posto all’adolescente. Per lei è come se dovesse lasciarlo andare in un mondo che può essere pericoloso e vorrebbe a tutti i costi proteggerlo dalle difficoltà della vita.
Durante l’adolescenza, però, la relazione intensa con la mamma potrebbe diventare troppo pesante per un figlio che ha bisogno di prendere le distanze per conoscersi meglio e “costruirsi”. Molti adolescenti sono schiacciati dal controllo materno e paterno e dalle vicinanze imposte.
È importante aiutare queste mamme, a volte anche i papà,  a comprendere la loro sofferenza per la separazione che la crescita di un figlio comporta e aiutarla a comprendere che ciò non ha nulla a che fare con la perdita dell’amore genitore-figlio, ma è un passaggio fisiologico che riguarda il ciclo di vita.
Anche i papà si trovano a gestire delle autentiche sfide educative che mettono in pericolo l’autorità paterna.
A livello psicologico questo distacco adolescenziale fa sentire spesso entrambi i genitori non tanto più liberi, ma più soli. È importante che continuino però a garantire il processo di esplorazione del mondo del proprio bambino e che imparino ad avere un atteggiamento di attesa che permetta di sviluppare fiducia e verso l’adolescente, che è ciò di cui ha bisogno.

(fine prima parte)
Dott.ssa Laura Prada

FONTI:
Erikson E. H. (1968), Identity: Youth and crisis, Norton Company.
Mahler M. S., Fine F., Bergman A. (1978), La nascita psicologica del bambino, Boringhieri.
Minuchin S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Astrolabio, Roma.
Pellai A. (2009), Questa casa non è un albergo. Adolescenti: istruzioni per l’uso, Kowalski Editore, Milano.
Pellai A. (2010), Nella pancia del papà. Padre e figlio: una relazione emotiva, Franco Angeli.
Rizzato M. e Donelli D. (2011), Io sono il tuo specchio. Neuroni specchio ed empatia, Edizioni Amrita.
http://www.medicitalia.it/minforma/Psicologia/1501/La-relazione-genitoriale-con-l-adolescente-Non-lo-riconosco-piu

mercoledì 21 agosto 2013

AGORAFOBIA...VAI VIA!



Il termine agorafobia deriva dalla parola greca Agorà che significa piazza. L’agorafobia è conosciuta comunemente come “paura degli spazi aperti”, in realtà chi ne soffre teme tutte le situazioni in cui è difficile scappare o ricevere soccorso, così evitandole, tiene a bada l’ansia che da esse ne deriva. Si tratta di persone che evitano di uscire da soli, di stare in casa da soli, di guidare o viaggiare, di frequentare luoghi affollati come concerti, fiere, di prendere l’autobus, l’aereo, la metropolitana, l’essere sopra un ponte, un ascensore…
Come si può ben capire le possibili situazioni che chi soffre di agorafobia tenta di evitare sono molteplici e a volte anche di necessità quotidiana. 

QUALI SONO I CRITERI DIAGNOSTICI DEL DSM PER PARLARE DI AGORAFOBIA?
A. Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso panico.
B. Le situazioni vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti) oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un Attacco di Panico o sintomi tipo panico, o viene richiesta la presenza di un compagno.
C. L’ansia o l’evitamento fobico non sono meglio giustificabili da un disturbo mentale di altro tipo, come Fobia Sociale(per es., evitamento limitato alle situazioni sociali per timore di essere imbarazzato), Fobia Specifica (per es., evitamento limitato ad una singola situazione, come gli ascensori), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., evitamento dello sporco per gli individui con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento di stimoli associati con un grave fattore stressante) o Disturbo d’Ansia di Separazione (per es., evitamento della separazione dalla casa o dai familiari).

E’ importante prendere in considerazione questo disturbo quando la propria vita inizia ad esserne totalmente o in parte condizionata. Spesso queste persone provano frustrazione e vergogna per il loro stato. Questo le porta ad essere a rischio di sviluppare altre condizioni di malessere, come la depressione o l’uso di sostanze stupefacenti. Anche l’isolamento e l’evitamento di rapporti sociali sembra essere spesso rilevante in questo persone con il passare del tempo.

DA DOVE NASCE L’AGORAFOBIA?
L’elemento centrale dell’agorafobia sembra essere la paura. È essa che prende il sopravvento ed impedisce di reagire. Si ha paura al momento presente o si teme di trovarsi in una situazione spiacevole. Alla base di questa paura vi è quasi sempre un disagio personale profondo, le cui caratteristiche e specificità possono essere comprese solo grazie ad un percorso terapeutico, contesto che permette un’analisi profonda della propria vita e delle proprie relazioni familiari e sociali. Generalizzando si tratta di persone che spesso, nella vita adulta, si sentono in qualche aspetto inadeguate, senza troppa fiducia in se stesse e alla ricerca di una figura protettrice.

COME AFFRONTARLA?
Normalmente le persone che soffrono di agorafobia tendono ad evitare le situazioni che sentono pericolose. Questa strategia porta ad un benessere immediato perché si evita la paura di quel momento, ma a lungo andare diventa deleterio e frustrante.
Se i sintomi persistono è importante rivolgersi ad uno psicologo per poter capire e comprendere ciò che il sintomo vuole dire al paziente.  In un percorso solitamente si aiuta il paziente a costruirsi gli strumenti per superare in modo graduale e senza troppe forzature le situazioni paurose con l’obiettivo di far tornare la persona autonoma e fiduciosa nelle proprie risorse comprendendo che l’evitamente porta al peggioramento del problema.
Utilizzare solo una terapia farmacologica, non per forza sempre necessaria, sarebbe come coprire con un cerotto una ferita, senza però lasciarla guarire comprendendone le cause.
Con problematiche di questo tipo, non basta rassicurare la persona dicendole che non deve avere paura in quella particolare situazione che a noi, da fuori, sembra così banale; occorre aiutarla ad affrontare passo per passo le sue difficoltà nei tempi giusti per quella persona. Essere frettolosi potrebbe peggiorare i sintomi di panico! Ecco perché l’aiuto di uno specialista sembra essenziale, sia come base sicura che come definizione del timing corretto!


 Dott.ssa Laura Prada