E’ difficile, se non impossibile.
Tutti i bambini piangono, alcuni più di altri, alcuni lo fanno raramente,
alcuni lo fanno in continuazione.
Che significato ha il pianto di un bambino?
Alla nascita la prima cosa che
avviene è proprio il pianto. In quella circostanza ha diverse
funzioni:
·
Fa espandere i polmoni e li mette in funzione
·
Contribuisce a liberare le vie respiratorie dal liquido in
modo da poter prendere l’ossigeno
·
È una reazione importante allo stress della nascita, visto
che da quel momento deve imparare a vivere fuori dal corpo della mamma.
Nei giorni, mesi e anni
successivi il pianto del bambino continua. Piange perché ha fame, perché ha
dolore, perché è disturbato da rumori o luci, perché si sente lontano delle
figure per lui importanti, perché vuole essere perso in braccio, perché vuole
essere rassicurato.
Il pianto è il modo per
eccellenza che il bambino piccolo ha di comunicare, di mandare un messaggio.
È importante che un genitori si
fermi ad osservare al fine di imparare a distinguere i diversi pianti del
bambino, per poter comprendere.
Un noto pediatra Brazelton ha
descritto gli stati comportamentali del neonato e ha individuato nello stato di
veglia anche il pianto. Esso è quindi uno stato comportamentale.
Cosa deve fare il genitore? Se risponde al pianto
sempre non c’è il rischio di viziare il bambino?
All’inizio del XX secolo era in
voga la teoria che attraverso il pianto il bambino manipolasse il genitori e
quindi era meglio lasciarlo piangere in modo da non allevare figli viziati,
maleducati ed estremamente dipendenti dalla figura del genitore. Questi bambini,
è vero, col tempo smettevano di piangere, ma lo facevano perché esausti o perché
insoddisfatti dalla figura di attaccamento. Fortunatamente la validità di
questo approccio è stata confutata. I bisogni dei neonati sono reali ed essi
piangono per motivi veri!
Negli anni ’70 nasceva una nuova
corrente di pensiero che ha portato le donne ad allattare al seno, furono
inventati i marsupi e i pediatri incoraggiavano i genitori ad entrare in
relazione profonda con i propri bambini. E qui all’opposto i genitori
iniziarono a scattare al primo sospiro del bambino.
Oggi la prima cosa da fare è
considerare il pianto come qualcosa di insito nella natura dei neonati. È una
liberazione piangere e farlo tra le braccia di una persona amata, lo è ancora
di più. Nell’ottica della Teoria dell’Attaccamento una madre/padre responsiva trasmette
al figlio l’idea di valere, di essere degno d’amore e l’idea che attorno a lui
ci sia un mondo “buono” su cui poter contare.
Perché ascoltare il pianto del proprio piccolo può
portare all’esasperazione? Cosa fare?
Tutti i genitori hanno provato
almeno una volta nella vita la fatica di ascoltare il pianto del loro piccolo
che a volte li ha portati all’esasperazione.
Perché? Secondo Vimala McClure la
ragione per cui è così difficile ascoltare il
pianto del bambino è che le nostre stesse infanzie possono essere state
piene di frustrazioni o bisogni inascoltati. A volte quando sentiamo il nostro
bambino piangere, invece che ascoltare realmente quello che ci sta comunicando,
sovrapponiamo il nostro bambino interiore e questo ci porta ad un unico
desiderio: che il bambino smetta di piangere. Calmiamo i nostri figli nello
stesso modo in cui noi siamo stati calmati.
Se ci rendiamo conto che il
nostro livello di sopportazione è ad altissimi livelli, se possibile è bene
chiedere al nostro partner di tenere il bambino per dieci minuti in modo da
potersi calmare in un luogo tranquillo scaricando l’ansia con la respirazione.
Se purtroppo non si hanno aiuti vicini
è bene rivolgersi a un Consultorio Familiare vicino a casa o a uno psicologo
privato per poter essere supportato in questi normali, ma difficili momenti.
Dott.ssa Laura Prada
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