martedì 2 aprile 2013

IL MIO BAMBINO PIANGE...



Qualcuno conosce qualche piccolo bambino che non piange mai?
E’ difficile, se non impossibile. Tutti i bambini piangono, alcuni più di altri, alcuni lo fanno raramente, alcuni lo fanno in continuazione.
Che significato ha il pianto di un bambino?
Alla nascita la prima cosa che avviene è proprio il pianto. In quella circostanza ha diverse funzioni:
·         Fa espandere i polmoni e li mette in funzione
·         Contribuisce a liberare le vie respiratorie dal liquido in modo da poter prendere l’ossigeno
·         È una reazione importante allo stress della nascita, visto che da quel momento deve imparare a vivere fuori dal corpo  della mamma.
Nei giorni, mesi e anni successivi il pianto del bambino continua. Piange perché ha fame, perché ha dolore, perché è disturbato da rumori o luci, perché si sente lontano delle figure per lui importanti, perché vuole essere perso in braccio, perché vuole essere rassicurato.
Il pianto è il modo per eccellenza che il bambino piccolo ha di comunicare, di mandare un messaggio.
È importante che un genitori si fermi ad osservare al fine di imparare a distinguere i diversi pianti del bambino, per poter comprendere.
Un noto pediatra Brazelton ha descritto gli stati comportamentali del neonato e ha individuato nello stato di veglia anche il pianto. Esso è quindi uno stato comportamentale.
Cosa deve fare il genitore? Se risponde al pianto sempre non c’è il rischio di viziare il bambino?
All’inizio del XX secolo era in voga la teoria che attraverso il pianto il bambino manipolasse il genitori e quindi era meglio lasciarlo piangere in modo da non allevare figli viziati, maleducati ed estremamente dipendenti dalla figura del genitore. Questi bambini, è vero, col tempo smettevano di piangere, ma lo facevano perché esausti o perché insoddisfatti dalla figura di attaccamento. Fortunatamente la validità di questo approccio è stata confutata. I bisogni dei neonati sono reali ed essi piangono per motivi veri!
Negli anni ’70 nasceva una nuova corrente di pensiero che ha portato le donne ad allattare al seno, furono inventati i marsupi e i pediatri incoraggiavano i genitori ad entrare in relazione profonda con i propri bambini. E qui all’opposto i genitori iniziarono a scattare al primo sospiro del bambino.
Oggi la prima cosa da fare è considerare il pianto come qualcosa di insito nella natura dei neonati. È una liberazione piangere e farlo tra le braccia di una persona amata, lo è ancora di più. Nell’ottica della Teoria dell’Attaccamento una madre/padre responsiva trasmette al figlio l’idea di valere, di essere degno d’amore e l’idea che attorno a lui ci sia un mondo “buono” su cui poter contare.
Perché ascoltare il pianto del proprio piccolo può portare all’esasperazione? Cosa fare?
Tutti i genitori hanno provato almeno una volta nella vita la fatica di ascoltare il pianto del loro piccolo che a volte li ha portati all’esasperazione.
Perché? Secondo Vimala McClure la ragione per cui è così difficile ascoltare il  pianto del bambino è che le nostre stesse infanzie possono essere state piene di frustrazioni o bisogni inascoltati. A volte quando sentiamo il nostro bambino piangere, invece che ascoltare realmente quello che ci sta comunicando, sovrapponiamo il nostro bambino interiore e questo ci porta ad un unico desiderio: che il bambino smetta di piangere. Calmiamo i nostri figli nello stesso modo in cui noi siamo stati calmati.
Se ci rendiamo conto che il nostro livello di sopportazione è ad altissimi livelli, se possibile è bene chiedere al nostro partner di tenere il bambino per dieci minuti in modo da potersi calmare in un luogo tranquillo scaricando l’ansia con la respirazione.
Se purtroppo non si hanno aiuti vicini è bene rivolgersi a un Consultorio Familiare vicino a casa o a uno psicologo privato per poter essere supportato in questi normali, ma difficili momenti.
Dott.ssa Laura Prada 

Nessun commento:

Posta un commento